sep1917.gif (2262 byte)

                                                Anno 1917
                    Inverno con 9 metri di neve molte vittime di slavine.
                                    Continuò la guerra di mine

Le schematiche aride notizie sulle operazioni non possono evidentemente dare un’idea degli attacchi all’arma bianca, delle notti di vedetta solitaria a quasi 3000 m d’inverno a 30 gradi sotto zero nella tormenta, dell’angoscia nelle trincee fra la pioggia delle granate durante un bombardamento, della insostenibile attesa precedente lo scoppio della mina sotto la propria caverna.

Non possiamo figurarci i patimenti sofferti per la fame, il gelo, le valanghe, l’umidità, i pidocchi, la dissenteria, i trasporti e le corvée; non parliamo poi dei feriti, spesso assai lontani dai posti primitivi di medicazione, talvolta abbandonati al loro destino per impossibilità di raggiungerli o  perché non visti; non pochi soffrirono pene inimmaginabili anche per giorni interi prima di morire, come risulta da racconti raccapriccianti.
Gli orrori delle mutilazioni subite dai propri soldati, dalla carneficina inutile per l’assalto fallito, il senso di colpa dopo decimazioni di ammutinati, seppur eseguite per ordini superiori, provocarono specie fra gli ufficiali italiani, più sensibili, parecchi suicidi.

Molto numerosi furono i casi di pazzia fra i soldati più labili, dopo un corpo a corpo o un massacrante martellamento d’artiglieria, o per il lungo isolamento. Lo testimoniano pagine drammatiche di ex combattenti. Anche dall’elenco delle cause di morte si vede che la maggior parte non perì in combattimento, ma per le ferite riportate, per congelamenti, per
valanghe, per malattie contratte nelle trincee e caverne, per gli stenti ecc.

1917_2.jpg (31436 byte)

       Guerra di mine

In quell’ anno non avvennero combattimenti di rilievo ad eccezione delle mine; gli aerei non disturbarono mai seriamente il fronte dolomitico con bombardamenti.

I fronti stabilizzati avevano indotto i comandi a sviluppare una particolare forma di attacco alle posizioni avversarie, insensibili alle offese in superficie: far brillare mine collocate in profonde gallerie. L’avversario rispondeva con la contromina, che faceva
esplodere in anticipo rispetto a quella contrapposta.

Questo lavoro di minatori trova riscontro nelle numerose gallerie necessarie per postazioni di artiglieria. I colpi partivano da aperture lungo le gallerie e da altre di collegamento.

14 gennaio: 2° mina sul Lagazuòi (austriaca).16 tonnellate di esplosivo.

6 aprile: Entrano in guerra gli Stati Uniti d’America.

22 maggio: 3° mina sul Lagazuòi (austriaca). 30 tonnellate di esplosivo, precipitano quasi 200.000 metri cubi di macigni, ma senza ottenere risultati.

20 giugno: 4° mina sul Lagazuòi (italiana), 33 tonnellate di esplosivo, scoppia facendo saltare in aria un’anticima a ovest della parete del Lagazuòi, eliminando un fastidioso avamposto austriaco, ma senza ottenere una decisiva vittoria.

16 settembre: 5° mina sul Lagazuò (austriaca).4.000 Kg di esplosivo, furono fatti saltare 5.000 metri cubi roccia che si rovesciarono sulla cengia per scendere a valle.

24 ottobre: Ritirata di Caporetto.

28 ottobre: Ordine di sgomberare Cortina.

5 Novembre: L’ultimo reparto italiano lascia Cortina, e nello stesso giorno le truppe Austriache rientrano in Ampezzo accolte con entusiasmo, perché con loro c’erano o stavano per arrivare i figli, i mariti, i padri, i fratelli da tanto tempo lontani da casa.
Alla gioia di quelli che riabbracciavano i loro cari si mescolava il dolore di chi appresela morte di un familiare o lo rivedeva mutilato o malato.

Con gli Austriaci entrarono in Ampezzo la carestia e la fame; tutti gli alimentari erano tesserati e razionati. Le bombe a mano e le altre armi abbandonate dagli Italiani, maneggiate imprudentemente, causarono la morte di tre ragazzi e di un’anziana di Zuèl.

Si riattò la ferrovia Peaio-Zuel; si stesero rotaie provvisorie sullo stradone per apprestare un raccordo di fortuna fra Dobbiaco e Calalzo.

1917_7.jpg (18581 byte)

        Commenti col senno di poi.

I difensori Ladini e Tirolesi erano in gran parte invalidi, vecchi, e bambini come diceva agli attaccanti il generale Caputo; ma montanari pratici dei luoghi, abituati alle rocce, alla temperatura e al clima. In parte erano abili tiratori e cacciatori, e affiatati fra loro e con ufficiali scelti da loro stessi. Del resto difendersi è molto più facile che attaccare, soprattutto quando si è arroccati sulle creste in posizioni dominanti. Gli Italiani invece disponevano di pochi Alpini; molte unità erano composte di soldati provenienti dalla pianura e dal meridione, più sensibili al freddo, spaesati su terreno dell’alta montagna, poco motivati non comprendendo che senso avesse impadronirsi di nude rocce.

Dopo ripetuti sanguinosi assalti, molti, al comando di avanzare, consci di andare al macello inutilmente, si ribellavano. In ogni esercito ci furono casi di ammutinamento e di disfattismo.
I comandi sfruttavano l’ignoranza dei soldati, infatti gli stessi, al 90% non sapevano nè leggere nè scrivere, mentre da parte Austriaca il 90% sapeva leggere e scrivere.

Secondo Pieropan la prima guerra mondiale causò complessivamente 8 milioni di morti; i costi si aggirarono sui 186 miliardi di dollari di allora.